Giovanni Stradone nasce a Nola, città di provenienza dei genitori, il 10 novembre 1911 - 1981, da Luigi Stradone (1883-1960) e da Carmela Auletta (1883-1971), secondo figlio di tre fratelli: Anna, la primogenita nata nel 1905, Giuseppe, l’ultimo nato nel 1914. Fin dalla infanzia vive ed opera a Roma dimostrando sin da piccolo una grande versatilità e passione per il disegno (a solo quattro anni si divertiva ad usare matite e pennelli, utilizzando l’olio per cucinare per diluire i colori) e più avanti per la pittura, frequentando da adolescente fino al 1927 la casa e lo studio del pittore Ferruccio Ferrazzi dove il padre lo aveva condotto notando l’attitudine del giovane per le attività artistiche. In questo periodo si reca spesso al Museo Borghese poco distante dalla sua abitazione di via Salaria dove si rifugia marinando la scuola, attirato dalle grandiose opere in esso raccolte, alcune delle quali copia con sorprendente abilità. Fra queste la deposizione di Raffaello, il cui restauro, più avanti negli anni, susciterà il suo sdegno ritenendolo non solo mal eseguito ma addirittura dannoso per la figura della Vergine. Contemporaneamente frequenta il liceo classico al Mamiani e dopo la maturità, per le insistenze del padre, s’iscrive alla facoltà di Giurisprudenza che mai frequenterà. Negli anni giovanili il nostro sviluppa anche un’altra passione: l’interesse per gli insetti che studia con molta attenzione e alcuni dei quali alleva in casa in grandi barattoli. Passione nata probabilmente da bambino quando trascorreva i mesi estivi nella campagna di Pico (Frosinone) luogo di origine della famiglia del padre. Il primo quadro risale al 1929 e s’intitola “Gli amici di Marcello”, seguito nel 1930 da “Marcello in paglietta” e “il Giardino di Marcello”. Quadri che vedono come protagonista un caro amico di giovinezza: Marcello Venturoli, divenuto da adulto critico d’arte con il quale per tutta la vita intratterrà rapporti altalenanti fra l’affetto e il grande risentimento, accusandolo a torto o a ragione di averlo tradito non apprezzando più la sua arte come un tempo. Negli anni ‘30 il suo gusto pittorico si orienta verso la così detta “Scuola romana” ma il suo linguaggio espressionista sulle orme di Scipione e Mafai più avanti negli anni ’40, a detta di Venturoli, Virgilio Guzzi, Ercole Maselli e Antonello Trombadori, acquisterà caratteristiche nuove ed originali nel trattamento della materia cromatica. Nel 1935 partecipa alla mostra dei Prelittoriali della cultura dove viene premiato da C.E. Oppo per il quadro “Il malato” eseguito nel 1933. Ma la personalità artistica di Stradone acquisterà rilevanza a partire dagli anni ‘40 con le mostre tenute alla Galleria Tevere in questa data e alla Galleria di Roma nel 1942. La consacrazione avviene con il Premio Bergamo nel 1942 con il quadro “La notte” ottenendo il 3° premio dopo Guttuso e Mezio, e davanti a Birolli. Nel 1945 alla Galleria dello Zodiaco espone insieme ai pittori Sadun e Scialoja e nel 1947 sempre con questi artisti ai quali si aggiunge Arnoldo Ciarrocchi partecipa alla mostra alla Galleria del Secolo intitolata “I quattro artisti fuori strada” prendendo spunto dal titolo di un saggio di Cesare Brandi. Il quale nella Presentazione alla Mostra antologica dello Stradone alla Galleria “L’Attico-Esse arte” nel 1982, ci dice: “Li chiamai pittori fuori strada perché non si erano adeguati al nascente astrattismo,… i quattro avevano una personalità diversa, se mai alla base c’era il riferimento a Morandi e all’espressionismo. Soprattutto in Stradone che dei quattro, non c’è dubbio, era il più grosso.” Tra le opere esposte nel 1947 figuravano “Il Colosseo”, “Il notturno sulla Salaria” del 1945, “La Resurrezione di Lazzaro”, “il Ritratto della madre” del 1945, tutte opere da considerarsi tra i capolavori dell’artista. Dell’importante contributo dato dallo Stradone alla cultura figurativa italiana di quegli anni prese atto prima il R. Longhi e poi lo stesso Lionello Venturi che, benché accanito sostenitore dell’astrattismo e dell’informale, ha sempre riconosciuto in Stradone il più tipico e coerente espressionista italiano. Negli anni 1948-1949, quindi per un brevissimo tempo, il nostro mette da parte le forme tipiche del suo linguaggio per cimentarsi in composizioni più vicine alla corrente neo-cubista. Di questo periodo sono alcuni quadri che rappresentano ciclisti e in particolare Fausto Coppi di cui Stradone era un grande ammiratore. Infatti il ciclismo era un’altra delle sue numerosissime passioni che egli stesso praticava, fino agli anni sessanta si muoveva per Roma e dintorni esclusivamente in bicicletta, solo in età matura, su sollecitazione del fratello, si convinse ad accettare da lui un’auto di seconda mano che veniva all’occorrenza guidata da un’autista, non avendo mai preso la patente. È proprio un quadro, in cui viene rappresentato, Coppi che gli farà ottenere nel 1948 a Londra il “Premio Olimpic Games”, istituito in occasione delle Olimpiadi londinesi, procurandogli fama anche all’estero come attestano i giornali del tempo. Nel 1950 Stradone invia alla Biennale di Venezia un quadro di grande dimensioni intitolato “L’apoteosi di Bartali” esposto per la prima volta alla Galleria Gioisi di Roma nel 1948. L’opera suscitò grande scalpore per il contenuto raffigurato perché considerato irriguardoso anche se la Biennale nella richiesta del suo immediato ritiro dalla mostra la motivò scrivendo che bisognava inviare opere mai esposte in precedenza. L’opera rappresentava l’incontro, effettivamente avvenuto fra Papa Pio XII e i ciclisti Fausto Coppi e Gino Bartali, all’epoca celeberrimi, alla presenza di numerosi personaggi rappresentati in chiave caricaturale fra i quali molti ravvisarono Enaudi, Andreotti, Saragat, il cardinale americano Schuster. Qui è necessario aprire una parentesi per dire che il nostro per suo divertimento o anche per polemica nei confronti di coloro che considerava suoi antagonisti o detrattori usava l’arma della caricatura in quanto era eccezionale nel riprodurre la fisionomia dei vari personaggi ingigantendone i difetti o alcune particolari caratteristiche. Famose quelle del prof. Giulio Argan titolare della cattedra di Storia dell’Arte Moderna dell’Università la Sapienza di Roma e della Direttrice del Museo dell’Arte moderna di Roma, Palma Bucarelli e di moltissimi altri esponenti dell’arte, della cultura e dello spettacolo del suo tempo che gli eredi conservano gelosamente. Nel 1950 contemporaneamente all’abbandono dell’esperienza geometrica, viene pubblicata la sua prima Monografia da De Luca con la prefazione di Giuseppe Dessì e Claudio Claudi. Da questo momento in poi numerosissime si succedono le mostre a cui Stradone partecipa con notevoli opere che sarebbe lungo enumerare tutte in questa sede per cui ci si soffermerà solo su quelle più interessanti. Nel 1954 ad esempio presenta alla Biennale di Venezia numerose opere quali “l’Idillio” del 1950, “Colosseo e ciclista” del ’51, “Mattino sull’Appia” del ’53, “Foro romano e Chiesa di SS Luca e Martina” 1954. Nel 1955 un saggio di Nello Ponente su “Letteratura” definisce Stradone un pittore “difficile e spesso polemico”, come si evince anche dai due libelli scritti dall’artista nel 1957: “Precisazioni a Guido Ballio” e “Risposta al pittore Afro Basaldella” nelle quali difende la propria posizione all’interno delle vicende romane degli anni Quaranta. Il “Premio Latina” nel 1960 e quello alla “IV Biennale dell’incisione italiana contemporanea” a Venezia nel ‘61 e la sua presenza alla retrospettiva dedicata alla ”Scuola romana dal 1930 al 1945”, e l’VIII Quadriennale oltre alla sua partecipazione alla “Mostra del Rinnovamento dell’arte in Italia dal 1939 al 1943” attestano il rinnovato interesse per la pittura di Stradone. Nel 1964 viene edita da De Luca una nuova Monografia con la bella presentazione di Giorgio De Chirico che assai raramente si era prestato in precedenza a esprimere un suo giudizio sull’opera di un artista. Nel 1967 partecipa alla mostra curata da Ragghianti a Firenze dal titolo: “Arte moderna in Italia dal 1915 al 1935” e nel 1968 è presente alla mostra “Mafai, Scipione, Stradone” alla Galleria Senior Di Roma. Sempre in questa Galleria nel 1973 si tiene una mostra molto importante per l’artista perche ripercorre tutte le tappe dell’attività di Stradone, presentando ben quaranta opere da “Laguna di Venezia” del 1943 ad inediti del 1971. Nel 1978 dopo un periodo di silenzio, è presente in due personali allestite contemporaneamente alle Gallerie La Barcaccia e Russo di Roma; nella prima vengono esposte 37 opere che coprono un arco di tempo che vanno dal ’48 al ’73, nella seconda sei grandi tele inedite presentano l’opera più recente. Nel ’79 viene pubblicata un “Antologia critica” di Giovanni Stradone edita da Carte Segrete e nel 1981 l’artista espone alla Galleria Russo 19 monotipi del ciclo dei “Pagliacci”. Nel 1981 improvvisamente muore. L’anno successivo Bruno Sargentini dedica a Stradone una grande retrospettiva di dipinti e disegni datati dal 1938 al 1963. Nello stesso periodo viene edito da ESA il volume di Francesco De Giacomo “Vita con un maestro” affettuosa ricostruzione della amicizia che ha legato il giornalista a Stradone per lunghi anni. Segue nel 1988 una personale dell’artista alla Galleria Russo di Roma dove vengono esposte 60 opere dal 1930 al 1980. Nel 1991 l’associazione Piazza Maggiore di Todi presenta una Mostra Antologica curata da Walter Guadagnini con il testo di Piero Dorazio, in questa occasione vengono presentate le opere più significative datate dal 1929 al 1977.
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