Alberto Burri (Città di Castello, 12 marzo 1915 – Nizza, 13 febbraio 1995) è stato un artista e pittore italiano.Dopo la laurea in medicina, conseguita nel 1940, nel corso della seconda guerra mondiale viene fatto prigioniero dagli inglesi e recluso, insieme a Giuseppe Berto e Beppe Niccolai, nel "criminal camp" per non cooperatori di campo di concentramento di Hereford in (Texas), dove comincia a dipingere utilizzando materiali di fortuna. Tornato in Italia nel 1946, si trasferisce a Roma, dove l‘anno successivo tiene la sua prima personale alla galleria La Margherita. Nel 1948, espone sempre nella stessa galleria, le prime opere astratte: Bianchi e Catrami.
Nel 1949 realizza SZ1, il primo Sacco stampato. Nel 1950 comincia con la serie le Muffe e i Gobbi e utilizza per la prima volta il materiale logorato nei Sacchi. Nel 1949 il Burri partecipa alla fondazione del Gruppo Origine, insieme a Mario Ballocco, Giuseppe Capogrossi ed Ettore Colla. Il gruppo, scioltosi nel 1951 continuò a operare fino al 1956 come Galleria Origine. Fu amico e collega di Brajo Fuso, artista perugino, col quale teneva animate discussioni su tecniche e materiali.
Nel 1952 espone per la prima volta alla Biennale di Venezia, presentando l‘opera il Grande Sacco. Con le mostre di Chicago e New York del 1953 inizia il grande successo internazionale.
Nel 1954 realizza piccole combustioni su carta. Continua a utilizzare il fuoco anche negli anni successivi, realizzando Legni (1956), Plastiche (1957) e Ferri (1958 circa).
Nel 1955 espone all‘Oakland Art Museum e alla VII Quadriennale Nazionale d‘Arte di Roma.
Nel 1964 vince il premio Marzotto[1]. Nel 1973 inizia il ciclo dei Cretti e su questo filone colloca l‘immenso sudario di cemento con cui rivestì i resti di Gibellina in un mirabile esempio di land art. Nel 1976 inizia a lavorare ai Cellotex. Al 1979 risalgono i Cicli, che domineranno tutta la sua produzione successiva. Il primo, intitolato Il Viaggio, viene esposto negli Ex-Seccatoi del Tabacco di Città di Castello. Presenterà altri cicli a Firenze (1981), Palm Springs (1982), Venezia (1983), Nizza (1985), Roma, Torino (1989) e Rivoli (1991).
Nel 1981 viene inaugurata la Fondazione Burri in Palazzo Albizzini a Città di Castello, con una prima donazione di 32 opere. Queste sono esposte principalmente in due sedi. La prima, quella di "Palazzo Albizzini", ha una superficie di 1660 m² ed è stata inaugurata nel 1981. La seconda che ospita i "grandi cicli pittorici" dell‘artista, è il frutto del recupero architettonico di un‘area industriale inutilizzata, gli "ex seccatoi del tabacco" ed è stata inaugurata nel 1990.
Burri muore a Nizza nel 1995, poco prima del suo ottantesimo compleanno.
L‘informale nell‘opera dell‘artista [modifica]
Sotto la definizione di "arte informale" si trovano diverse forme di espressione e di stili. L‘elemento accomunante non è la negazione della forma in quanto tale, ma quello di dare libera espressione alle pulsioni e alle emozioni individuali. L‘informale si divide in tre grandi linee a seconda che nelle opere dominino il gesto, la materia o il segno. Alberto Burri appartiene alla corrente dell‘informale materico. Secondo Burri l‘arte interviene dopo avere creato. Nel suo caso, dunque, dopo l‘assemblamento della materia stessa. Uno dei molti esempi che si possono fare è quello dell‘opera Rosso plastica (1964), costituita da un telo di plastica colorato con un rosso acceso bruciato da una fiamma ossidrica. Burri utilizza il fuoco come pennello per dipingere. Ne risulta una plastica rotta, addensata, ferita dai colpi di calore; questo effetto accostato al rosso violento del colore accentua la drammaticità dell‘immagine. Lo spettatore si trova di fronte alla "pelle ustionata" della pittura.
|