Luogo e data di nascita: Petropavlovsk-na-Kamčatke, 11 luglio 1889 Luogo e data di morte: Parigi, 12 luglio 1974 Professione: pittore, scenografo, critico d‘arte e teatrale
Nasce in Kamčatka, dove la famiglia era stata esiliata in seguito all‘accusa rivolta al padre, Pavel Annenkov, membro del gruppo rivoluzionario Narodnaja volja, di aver partecipato all‘omicidio dello Zar Alessandro II nel 1881. Nel 1892 la famiglia Annenkov fa ritorno a Pietroburgo, dove Jurij inizia a frequentare i corsi dell‘Istituto di Disegno Tecnico diretto dal barone Štiglic. Nel 1905 pubblica in un giornale dell‘Istituto delle vignette satiriche contro lo zar che gli costano l‘esclusione dal Ginnasio Statale. Terminati gli studi presso il Ginnasio privato di Stolbcov, nel 1908 si iscrive alla facoltà di legge dell‘Università di Pietroburgo. Stringe amicizia con Il‘ja Repin che, diventato il suo maestro e mentore, lo spinge a continuare sulla strada della pittura. Prende così lezioni private da Savelij Zejdenberg e, non avendo passato le prove di ammissione all‘Accademia di Belle Arti di Pietroburgo, segue fino al 1911 i corsi di Jan Cionglinskij. Su consiglio di questi si reca a Parigi, dove segue le lezioni private di Maurice Denis e Félix Vallotton e dipinge sotto l‘influenza del cubismo e del futurismo. Dopo un periodo di soggiorno in Bretagna e in Svizzera, torna a Pietroburgo nel 1913, dove, oltre alla pittura, si dedica alla scenografia e all‘illustrazione editoriale, collaborando con il teatro Krivoe zerkalo e con le riviste «Satirikon», «Teatr i iskusstvo», «Solnce Rossii», «Lukomor‘e» «Argus» e «Otečestvo». Cura inoltre la veste grafica di diversi libri per l‘infanzia e di alcune opere letterarie, fra cui I dodici di Aleksandr Blok (Dvenadcat‘, Petrograd, Alkonost, 1918). Nel 1924 si reca a Venezia per l‘apertura della XIV Esposizione Internazionale d‘arte e per l‘inaugurazione del padiglione sovietico, ospitato nell‘edificio costruito nel 1914 su progetto di Aleksej Ščusev come padiglione russo. Al suo interno Annenkov espone quattro tele (i ritratti di Lev Trockij, Vjačeslav Polonskij, Аleksandr Tichonov e una Primavera) e dieci disegni (i ritratti di Abram Efros, Aleksandr Benois, Michail Babenčikov, sei nature morte, di cui una a rilievo, e uno Studio di modella). Il Ritratto di Trockij occupa il posto d‘onore nella sala centrale del padiglione ed è una delle opere più note e discusse fra le quasi seicento qui esposte, com‘è testimoniato dall‘alto numero di riproduzioni apparse all‘epoca sulla stampa e su diverse edizioni italiane (Nebbia, 1924). Anche il critico Francesco Sapori pubblica una riproduzione del ritratto, descrivendone l‘autore come un giovane di forte ingegno, che accetta a occhi aperti alcuni postulati del cubismo, per affrontare da solo, realisticamente, il problema radicale della forma. I suoi ritratti a colore, o in penna, sono dimostrativi d‘una inquietudine che, mentre cerca, crea. Egli si lascia tentare da ogni abuso coreografico di sovrapposizioni plastiche, in legno, latta, carta e perfino d‘un campanello, sulla tela dipinta. Ma quando si pone dinnanzi al grande "Ritratto di Leone Trotzky" in tenuta di Commissario di guerra, questo pittore della Russia rivoluzionaria sa congiungere la potenza espressiva del passato con le angosciate conquiste dell‘oggi. Credo che quest‘opera non sarà dimenticata. Essa ha fatto nascere ne‘ suoi ammiratori due interrogativi: "Rimarrà quale documento storico dell‘Armata rossa?"; "rimarrà come opera d‘arte?". Senza cedere ad alcuna lusinga profetica, m‘azzardo a pensare che la pittura di Giorgio Annenkoff risponda all‘una e all‘altra domanda: sì (Sapori 1924, p. 24). Il quadro costituisce l‘ultimo ritratto conosciuto di Trockij, che di lì a poco sarebbe stato accusato da Stalin di tradimento. Come osserva Leonid Kacis, Trockij è raffigurato in una postura che riprende il celebre monumento equestre di Pietro il Grande realizzato a San Pietroburgo da Falconet (Kacis 2000, p. 232). Al giorno d‘oggi il quadro è disperso e sul suo destino esistono versioni discordanti: secondo alcune fonti, il ritratto sarebbe stato restituito al Museo centrale dell‘Armata rossa (Central‘nyj muzej krasnoj Armii), più tardi Museo centrale delle forze armate (Central‘nyj muzej vooružennych sil), secondo altre sarebbe stato distrutto oppure occultato in qualche deposito statale in Unione Sovietica (Miele 1973, p. 378). Dopo oltre quarant‘anni dalla Biennale veneziana, Annenkov scrive nelle sue memorie di ignorare la sorte della tela (Annenkov 1966, pag. 309). Terminato il soggiorno veneziano Annenkov viaggia per un breve periodo per l‘Italia, facendo visita anche a Maksim Gor‘kij a Sorrento; qui incontra casualmente Petr Končalovskij, anch‘egli giunto da poco dall‘Unione Sovietica. Di questo incontro scrive nelle sue memorie: Appena giunti dall‘URSS, ci trovavamo ancora in una fase di desquamazione: le scarpe erano berlinesi, i cappelli romani, ma i vestiti ancora moscoviti, vecchiotti, e per nulla alla moda. Carichi di energia (all‘Italia i malinconici non si addicono), cantavamo e ridevamo a crepapelle, godendoci il mare, il sole, le barche a vela, i gabbiani, il ronzio dei maggiolini, il Vesuvio color lillà e il profilo rosa di Capri. In una trattoria stavamo bevendo del vino allegro e mangiando pesche e chicchi d‘uva vellutata, quando Končalovskij gridò spensierato all‘oste: "Indovinate da quale paese proveniamo". L‘italiano, di carnagione scura, iniziò a grattarsi sotto le ascelle, quindi dietro le orecchie, riflettendo intensamente per poi giungere alla considerazione: "Pensavo dall‘Australia". "Strano" - disse stupito Končalovskij. "Perchè strano [in italiano nel testo]?" - obiettò l‘oste. Che dire, il russo e l‘italiano sono praticamente la stessa lingua (Annenkov 1966, vol. 1, p. 43).
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